Il 1 agosto 2013 una delle più oscure figure del notabilato italiano è
stato condannato per frode fiscale, dopo che negli anni aveva,
attraverso svariati espedienti, evitato le condanne per molti altri
reati.
Lascia come al solito stupiti la serie di dichiarazioni di
chi, invece di ammettere la colpevolezza di un soggetto che è stato
giudicato tre volte colpevole, pretenderebbe che il verdetto fosse il
risultato di un accanimento nei confronti di un personaggio che, ad una
analisi razionale, non avrebbe nessun motivo per essere
giustificato.
Ma lascia ancora più esterrefatti l'arroganza con cui il
pregiudicato e la sua azienda politica si sentano autorizzati a chiedere
grazie, salvacondotti o altri trattamenti privilegiati per non scontare
la pena inflitta, ed è di ieri l'allucinante dichiarazione di un
soggetto politico fedelissimo del pregiudicato che vaneggia di guerre
civili in caso venga fatta rispettare la sentenza della Magistratura.
Anche molta della parte politica che non risulta affiliata nelle schiere del partito-azienda sembra dare all'accaduto poco del risalto che
meriterebbe, forse troppo preoccupata a negoziare nuovi scenari
all'ombra della chimerica - e non democratica perché imposta dall'alto -
stabilità, a conferma della distopicità della realtà politica italiana.
Dobbiamo alla Magistratura, a conferma dell'importanza e della validità del principio
democratico della separazione dei poteri, e nonostante i molteplici tentativi di delegittimazione che ha dovuto subire negli anni, il
segnale forte e indispensabile ad un paese che non riesce, a livello
politico, a organizzare una reazione a due decenni di abusi e di
pericolose connivenze.
La legge è uguale per tutti.
La democrazia è fatta di procedure da rispettare e, a questo punto, neanche le più bieche manovre di partito potranno evitare un cambiamento.
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