Bertinotti scrive a Napolitano: 'Lei non può sospendere la democrazia'
Sul
Corriere della Sera di oggi, martedì 23 luglio 2013, Fausto Bertinotti
ha scritto una lettera aperta al Presidente della Repubblica Giorgio
Napolitano, criticando le scelte del Quirinale e esortandolo a
rispettare la democrazia, sospesa oggi dallo stato di eccezione. Ne
pubblichiamo il testo.
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Signor Presidente,
Lei non può. Lei non può
congelare d’autorità una delle possibili soluzioni al problema del
governo del Paese, quella in atto, come se fosse l’unica possibile, come
se fosse prescritta da una volontà superiore o come se fosse
oggettivata dalla realtà storica. Lei non può, perché altrimenti la
democrazia verrebbe sospesa. Lei non può trasformare una Sua, e di
altri, previsione sui processi economici in un impedimento alla libera
dialettica democratica. I processi economici, in democrazia, dovrebbero
poter essere influenzati dalla politica, dunque dovrebbero essere
variabili dipendenti, non indipendenti. Lei non può, perché altrimenti
la democrazia sarebbe sospesa. Sia che si sostenga che viviamo in regimi
pienamente democratici, sia che si sostenga, come fa ormai tanta parte
della letteratura politica, che siamo entrati, in Europa, in un tempo
post-democratico, quello della rivincita delle élites, Lei non può. Nel
primo caso, perché l’impedimento sarebbe lesivo di uno dei cardini della
democrazia rappresentativa cioè della possibilità, in ogni momento, di
dare vita ad un’alternativa di governo, in caso di crisi, anche con il
ricorso al voto popolare. Nel secondo caso, che a me pare quello
dell’attuale realtà europea, perché rappresenterebbe un potente
consolidamento del regime a-democratico in corso di costruzione.
C’è nella realtà
politico-istituzionale del Paese una schizofrenia pericolosa; da un
lato, si cantano le lodi della Costituzione repubblicana, dall’altro,
essa viene divorata ogni giorno dalla costituzione materiale. La prima,
come Lei mi insegna, innalza il Parlamento ad un ruolo centrale nella
nostra democrazia rappresentativa, la seconda assolutizza la
governabilità fino a renderlo da essa dipendente. Quando gli chiede di
sostenere il governo perché la sua caduta porterebbe a danni
irreparabili, Ella contribuisce alla costruzione dell’edificio
oligarchico promosso da questa costituzione materiale.
Nel regime democratico ogni
previsione politica è opinabile perché parte essa stessa di un progetto e
di un programma che sono necessariamente di parte; lo stesso presunto
interesse generale non si sottrae alla diversità delle sue possibili
interpretazioni. Ma, se mi permette, Signor Presidente, c’è una ragione
assai più grande per cui Lei non può. La nostra Costituzione è, come
sappiamo, una costituzione programmatica. Norberto Bobbio diceva che in
essa la democrazia è inseparabile dall’eguaglianza, come testimonia il
suo articolo 3. Ma essa, rifiutando un’opzione finalistica nella
definizione della società futura, risulta aperta a modelli
economico-sociali diversi e a quelli dove sarà condotta da quella che
Dossetti chiamava la democrazia integrale e Togliatti la democrazia
progressiva. Quando Lei allude ai possibili danni irreparabili per il
Paese, lo può fare solo perché considera ineluttabili le politiche
economiche e sociali imperanti nell’Europa reale, le politiche di
austerità. Ha poca importanza, nell’economia di questo ragionamento, la
mia radicale avversione a queste politiche che considero concausa del
massacro sociale in atto. Quel che vorrei proporLe è che nella politica e
in democrazia si possa manifestare un’altra e diversa idea di società
rispetto a quella in atto e che la Costituzione repubblicana garantisce
che essa possa essere praticata e perseguita. Il capitalismo finanziario
globale non può essere imposto come naturale, né la messa in
discussione del suo paradigma può essere impedito in democrazia, quali
che siano i passaggi di crisi e di instabilità a cui essa possa dar
luogo. O le rivoluzioni democratiche possono essere possibili solo
altrove? No, la Carta fondamentale garantisce che, nel rispetto della
democrazia e nel rifiuto della violenza, possa essere intrapresa anche
da noi.
C’è già un vincolo esterno,
quello dell’Europa reale, che limita la nostra sovranità, non può
esserci anche un vincolo esterno alla dialettica politica costituita
dall’autorità del Presidente della Repubblica. Lei non può, Signor
Presidente. Mi sono permesso di indirizzarLe questa lettera aperta
perché so che la lunga consuetudine e l’affettuoso rispetto che ho
sempre nutrito per la Sua persona mi mettono al riparo da qualsiasi
malevola interpretazione e la mia attuale lontananza dai luoghi della
decisione politica non consentono di pensare ad una qualche
strumentalità. E’, la mia, soltanto, l’invocazione di un cittadino,
anche se ho ragione di ritenere che essa non sia unica.
Mi creda, con tutta cordialità,
Fausto Bertinotti
da IlCorsaro on line
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